Parlate di mafia, parlatene alla radio, in televisione, sui giornali ammoniva Paolo Borsellino. Sono passati 28 anni dalla strage di via D’Amelio e, anche quest’anno, anche nel nostro Abruzzo, c’è chi il 19 luglio si è “ricordato” e ha “commemorato” il magistrato e la sua scorta. Ma, come tante volte abbiamo sottolineato in questi ultimi anni, un ricordo vero, autentico, rispettoso dell’insegnamento e del sacrificio che dura solo un giorno e non porta ad agire di conseguenza è ipocrita ostentazione. Le mafie sono presenti tra noi, a più livelli e avvelenando il tessuto sociale, ambientale e culturale. L’Abruzzo non è immune. Il quadro che la relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia (relativa al secondo semestre del 2019) è drammaticamente identico a quello delle relazioni precedenti, in una situazione che si incancrenisce e rimane sempre identica a se stessa. Tanti anni fa una multinazionale petrolifera definì l’Abruzzo “una regione camomilla con bassi costi di penetrazione“. Le mafie, dall’universo Casamonica (che partì da Pescara alla conquista di Roma) alle mafie foggiane, dalle mafie dei pascoli ai colletti bianchi, da ‘ndrangheta e camorra alle mafie nigeriane e tante altre l’elenco è lunghissimo: gioco d’azzardo (ormai tra i maggiori settori di investimento e riciclaggio da parte dei clan) al narcotraffico, dallo sfruttamento della prostituzione attivissimo dalla bonifica del tronto al confine col Molise passando per l’area metropolitana Pescara-Chieti, da usura, racket ed estorsioni (che sta montando sempre più in un’economia piegata dalla crisi sanitaria) ai rifiuti e altri delicati settori ambientali.
Sconcertano e fanno quindi cadere le braccia leggere le esternazioni facebook dell’ex assessore regionale al lavoro della scorsa giunta regionale, secondo cui chi scrive e cerca di accendere i riflettori sulle presenze (ormai parlare di sole penetrazioni è a dir poco riduttivo) mafiose in Abruzzo. Dimentica il consorte di un’attuale consigliera regionale, che ha dichiarato nelle scorse settimane di essere uscita dalla maggioranza ma – dopo le polemiche elettorali di due anni fa – ci perdoni non abbiamo capito se e quando vi era entrata, che a cavallo tra le sue due esternazioni l’ennesima operazione antimafia (contro il clan Senese) ha portato all’arresto di un imprenditore a Campo di Giove attivissimo nella provincia aquilana e in procinto di espandersi. Così come desta sempre preoccupazione la situazione e quanto accade nel carcere di Sulmona (dove anni fa è emerso che è avvenuto un rito di affiliazione alla ‘ndrangheta e nel mese di giugno è stata disposta la sorveglianza esterna da parte dell’esercito), le due maxi operazioni dell’estate scorsa, gli 8 atti intimidatori tra attentati e minacce contro amministratori comunali, dirigenti di parchi e ditte di rifiuti. Atti violenti tra cui persino l’invio di una testa d’agnello scuoiata e sanguinante. Fatti a cui si aggiungono le due maxi operazioni contro le mafie nigeriane e lo sfruttamento della schiavitù sessuale nel teramano a luglio e dicembre scorso, l’operazione anti-terrorismo sempre nel teramano, il coinvolgimento abruzzese nell’inchiesta di gennaio scorso contro la mafia dei pascoli nel messinese e innumerevoli operazioni contro il narcotraffico. Anche nei mesi del lockdown quando da Pescara al vastese, passando per altri territori, lo spaccio non si è mai fermato. E le famiglie (o, per meglio dire, i clan), sempre le stesse ricorrenti, violente e arroganti negli anni, stanno alzando sempre più la testa sfidando la collettività e le istituzioni. I fuochi d’artificio sparati ripetutamente durante il lockdown, mentre ogni misura anti-covid veniva quotidianamente violata, da “villa del fuoco” a Pescara al vastese ne sono emblema e rumorosa conferma. Quei fuochi che usano per marcare il territorio, affermare la propria presenza, festeggiare un’uscita dal carcere o comunicare l’arrivo di droghe e altre merci illegali. E che proseguono soprattutto a Pescara, sentendosi ogni sera o quasi anche a chilometri e chilometri di distanza. Possibile che questa sfida gravissima e indecente continui nel silenzio assordante di chi di dovere? Come si può accettare tutto questo?
Non sta andando tutto bene e stiamo uscendo (se stiamo uscendo, perché i timori per i prossimi mesi sono più che alti) peggio di prima, questa regione non può continuare a vivere immobile e silente, incapace di reagire all’incancrenimento incapace di espellere clan, mafie e “famiglie”. La “regione camomilla con bassi costi di penetrazione” va consegnata al passato più vergognoso. Senza se e senza ma.
Azione Civile, movimento politico fondato dall’ex pm e oggi avvocato antimafia Antonio Ingroia, Abruzzo
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