L’operazione scattò alle 3 antimeridiane del 12 settembre, quando una colonna motorizzata agli ordini del comandante responsabile Harald Mors si mosse alla volta di Assergi. La partenza dei 10 alianti DFS 230 della 2. Fallschirmjäger-Divisionera prevista per le 12.30, ma venne anticipata di qualche minuto in quanto una serie di bombardieri alleati sorvolò l’aeroporto. Dato il limitato spazio a disposizione per l’atterraggio, sulle ruote degli alianti furono incastrati dei rotoli di filo spinato, per creare un forte attrito col suolo.
Durante il volo di avvicinamento l’aereo che rimorchiava il DFS con Otto Skorzeny, pilotato dal tenente Elimar Meyer, si trovò – dalla quarta posizione che aveva al decollo – a essere in testa alla formazione, dato che i primi tre Henschel avevano virato per guadagnare quota e si erano accodati alla formazione, ma non quello col capitano SS a bordo. E così si trovò davanti all’aliante dove c’era invece il tenente barone Georg von Berlepsch, comandante dell’unità d’assalto alla quale Skorzeny era stato aggregato come “consigliere politico” e con espresso divieto da parte di Student di esercitare il grado.
Gli italiani, colti di sorpresa dalla fulmineità dell’azione e da ordini a dir poco contraddittori da parte dell’ispettore Gueli, non reagirono. Per di più Skorzeny aveva avuto l’idea, stigmatizzata nell’immediato dagli ufficiali paracadutisti, di portare con sé come ostaggio il generale del Corpo degli agenti di polizia Fernando Soleti che, facendosi riconoscere dai carabinieri che presidiavano la fortezza sul Gran Sasso, intimò loro di non sparare. I soldati italiani restarono totalmente disorientati dalla presenza del generale. Alla sua vista lo stesso Mussolini, che si era affacciato alla finestra, disse: “Non sparate, non vedete che è tutto in ordine? C’è un generale italiano!”.
Skorzeny si fece avanti per essere il primo a vedere Benito Mussolini, arrivò alla porta della camera del Duce che aveva visto alla finestra e spinse via un paracadutista che, rispondendo a un preciso ordine “ad personam” di Student, lo aveva preceduto. Fu Skorzeny a salutare per primo Mussolini, nonostante si fosse accordato con Student di rimanere solo un “consigliere politico”, violando gli ordini che vietavano persino di scendere in picchiata, cosa che lui aveva imposto a Meyer, scompaginando la formazione e costringendo due alianti ad andare a sbattere contro le rocce circostanti. I tedeschi sistemarono la radio sul tetto dell’albergo. Dalla radio venne dato il segnale che l’albergo era in mani tedesche, il “Duce d’Italia” era vivo e non c’erano vittime.
Se sul rifugio non ci fu praticamente nessuna reazione da parte italiana, ad Assergi invece persero la vita due militari, gli unici che non si sottrassero al loro dovere in quella circostanza. Il primo fu la guardia forestale Pasqualino Vitocco, che aveva cercato di avvisare i carabinieri della presenza della colonna tedesca e venne ucciso con una raffica di mitragliatrice, dopo che gli era stato intimato l’alt. Morirà il giorno dopo all’Ospedale Civile dell’Aquila. La seconda vittima fu il carabiniere Giovanni Natale che, di guardia nella stazione intermedia della funivia, visti arrivare dei tedeschi aveva tentato una reazione ma era stato colpito a morte. Risulta pertanto del tutto arbitraria e non corrispondente alla verità, fattuale e documentale, la ricostruzione effettuata nell’«Atlante delle stragi nazifasciste» a cura dell’Anpi dove si parla di eccidio dei militari Vitocco e Di Natale, in quanto il primo era in uniforme (e individuato come militare dai tedeschi, che gli intimarono l’alt) e il secondo cercò di ingaggiare uno scontro a fuoco, come peraltro risulta dai rapporti dei carabinieri a da quello del comandante di compagnia del Lehrbataillon, tenente Karl Schulze, che non sono stati probabilmente consultati dai compilatori della scheda(cfr., con dovizia di particolari Patricelli, Liberate il Duce! e Settembre 1943, i giorni della vergogna, cit). Di tutta evidenza si trattò di azioni di guerra: i rapporti della stazione dei carabinieri di Assergi escludono espressamente violenze dei tedeschi su civili, militari e persino cose. Intanto il maggiore Harald-Otto Mors, il comandante e responsabile dell’intero Lehrbataillon impegnato nelle due fasi aerea e terrestre, raggiunse l’albergo in quota con la funivia.
Dopo qualche foto, Mussolini doveva ripartire con il capitano della Luftwaffe Gerlach su uno Storch (cicogna), aereo a decollo e atterraggio breve, portato sull’altipiano dallo stesso capitano. L’aereo poteva trasportare solo un passeggero, soprattutto in partenza da una pista di decollo così corta, per questo ne era stato previsto un altro per trasportare l’ufficiale accompagnatore, che venne designato in Skorzeny, secondo i suoi espressi desideri. Il secondo aereo però non riuscì ad atterrare. Skorzeny, non si perse d’animo e nonostante il suo peso non indifferente, riuscì ugualmente a ottenere il permesso da Mors e dal pilota di poter salire sullo Storch, forse facendo pesare il suo grado o grazie a ordini “superiori” (il grado di capitano era uguale a quello di Gerlach, ma bisogna ricordare che Skorzeny apparteneva alle SS).
La pista era troppo corta così Gerlach, abile pilota, decise di far trattenere le ali dello Storch da alcuni soldati fino a raggiungere il massimo regime del motore. A un segnale, lasciato libero, l’aereo scattò in avanti verso il burrone. Scomparve per qualche momento nell’abisso, ma poi lo si poté vedere da lontano mentre si alzava verso il cielo. A Pratica di Mare, dove atterrò, Mussolini fu imbarcato su un Heinkel He 111 che lo portò a Vienna, e poi a Monaco: il 14 settembre, a Rastenburg, incontrò Hitler. Nonostante il rapporto di Mors, suffragato in tutto e per tutto da quello del generale Student, cui Hitler aveva assegnato il compito di liberare Mussolini, fosse riconosciuto come autentico e veritiero in tutte le fasi, e sin dagli anni cinquanta dagli stessi servizi segreti americani, Hitler diede invece il merito a Skorzeny, cui affidò in seguito simili e difficili imprese, che lo fecero conoscere come “L’uomo più pericoloso d’Europa”. Ma nel caso dell’impresa del Gran Sasso non fu vera gloria.