Bel clima quello che si è respirato al Caffè Letterario itinerante organizzato da l’Isola che non c’è & democrazia partecipativa, in collaborazione con il Bar Alessia a Capistrello. Molti i giovani presenti al dibattito sulla mafia scaturito dalla lettura del romanzo di Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta.
È vero che Capistrello non è Platì ma il fatto che si parli di mafia alla presenza di molte persone interessate all’argomento è il segnale che quando si affrontano questioni serie ed attuali, tutti sono disponibili a dare il proprio contributo e a sentirsi partecipi attivi, traendo spunto da un’opera letteraria che per la prima volta in Italia. affrontò esplicitamente il tema della mafia.
La scena madre in cui il Capitano dei Carabinieri Bellodi interroga il boss mafioso Don Mariano Arena è il momento culminante di una vicenda che rappresenta metaforicamente la lotta dello Stato contro un fenomeno criminale che prima di essere un elemento di rilevanza penale nell’ambito dell’ordinamento giuridico è un fenomeno culturale e una filosofia di vita che scaturisce da un concetto di famiglia ben descritto in un passo del libro.
“… E ciò discendeva dal fatto, pensava il capitano, che la famiglia è l’unico istituto veramente vivo nella coscienza del siciliano: ma vivo più come drammatico nodo contrattuale, giuridico, che come aggregato naturale e sentimentale. La famiglia è lo Stato del siciliano. Lo Stato, quello che per noi è lo Stato, è fuori: entità di fatto realizzata dalla forza; e impone le tasse, il servizio militare, la guerra, il carabiniere. Dentro quell’istituto che è la famiglia, il siciliano valica il confine della propria naturale e tragica solitudine e si adatta, in una sofistica contrattualità di rapporti, alla convivenza. Sarebbe troppo chiedergli di valicare il confine tra la famiglia e lo Stato…”
Sciascia in sostanza descrive una sorta di familismo amorale che nasce da un’idea dell’etica dei rapporti familiari per la quale gli individui di un determinato tessuto sociale condividono, in via esclusiva, i vantaggi materiali, sia nella propria famiglia nucleare sia in quella allargata che include i famigli, gli amici e gli amici degli amici. In questo senso il familismo amorale diventa la fonte dei mali del tessuto democratico perché in quell’assunto c’è il seme del clientelismo che diventa antipolitica che si trasforma in antistato e quindi in mafia.
La cronaca di questi giorni ci dice che la mafia è un modo di essere che supera la comoda rappresentazione caricaturale che la definisce un mondo occulto e ramificato, fatto di commistioni tra politica e criminalità, governato da iene sanguinarie e colletti bianchi della finanza. La mafia è un cancro che consuma lo Stato dentro la sconvolgente normalità di un familismo amorale che è l’alimento principale di cui si nutre.