Riceviamo e pubblichiamo in toto un interessante intervento di Alfio Cataldo Di Battista, Responsabile Private Banking Banca MPS – Direzione Territoriale Aquila -Teramo.
“C’è sempre chi è pronto a cavalcare la legittima rabbia dei clienti che hanno perso i loro risparmi nei recenti salvataggi bancari. Eticamente è assai discutibile alimentare aspettative infondate tra quelle persone che già hanno visto la loro fiducia tradita e che ora non meritano certo di essere ulteriormente illuse. E’ però lecito chiedersi se sia stato giusto far pagare il conto di questi salvataggi a risparmiatori inconsapevoli del livello di rischio insito nelle azioni e nelle obbligazioni subordinate di cui erano in possesso.
Con il decreto 180 del 16 novembre scorso, il Consiglio dei Ministri, recependo la direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie, ha evitato che il crack degli istituti assumesse proporzioni ancora più pesanti risucchiando nel vortice del dissesto anche i possessori di obbligazioni ordinarie oltre che i correntisti con giacenze superiori ai 100.000 euro. L’intervento dello Stato, e quindi in ultima analisi, del contribuente, è espressamente vietato dalle nuove normative comunitarie.
Tuttavia fanno riflettere alcune dichiarazioni del presidente dell’ABI, Antonio Patuelli, il quale sostiene che i contributi straordinari al Fondo di Risoluzione potevano essere di minore entità così come prospettato nella proposta inviata a Bruxelles. Infatti, il fondo interbancario di tutela dei depositi, già dal luglio scorso aveva predisposto la documentazione necessaria per gestire i salvataggi. La proposta prevedeva minori oneri, ma le reticenze dei burocrati di Bruxelles, ne hanno rallentato, per non dire ostacolato, l’iter, senza rispondere con dinieghi formali che, se ci fossero stati, si sarebbero potuti impugnare sul piano giuridico.
Questo avrebbe costretto il Governo italiano e la Banca d’Italia a optare per il decreto, ormai diventato urgente, per evitare gli effetti catastrofici del bail-in che sarebbe scattato dal 1° gennaio. Per Patuelli quanto è accaduto andrebbe addebitato agli uffici della Commissione Europea che avrebbe agito in ritardo facendo aumentare gli oneri dell’operazione non avendo considerato altre soluzioni, che quest’estate si sarebbero potute attuare a costi decisamente inferiori.
Il presidente dell’ABI, pur stigmatizzando la mala gestio delle banche italiane coinvolte nel salvataggio, ha anche rilevato l’evidente disparità di trattamento in seno alla stessa Europa dal momento che la Corte europea ha consentito che in Germania fosse salvata una banca di Amburgo con soldi pubblici.
Questo doppiopesismo dovrebbe suscitare la necessità, soprattutto da parte della politica, di approfondire i termini del problema, nel tentativo di trovare soluzioni plausibili. Oggi la Camera ha respinto le questioni pregiudiziali poste al decreto dal M5S, da FI e dalla Lega Nord, che riguardavano la violazione degli art. 47, 53 e 77 della carta costituzionale.
Resta comunque da chiarire il ruolo di Banca d’Italia e Consob in relazione ai rispettivi ruoli di sorveglianza del sistema bancario e di controllo delle società quotate in borsa. Molti ricorderanno ancora i movimenti speculativi sulla banca aretina, ancora prima dell’annuncio del decreto per la trasformazione delle popolari in SpA, da parte di Renzi, il 16 gennaio scorso, a mercati chiusi.
Oggi diverse associazioni di consumatori stanno valutando azioni a tutela dei risparmiatori. Si parla di azioni collettive nei confronti sia delle banche che di tutti i soggetti che avrebbero dovuto svolgere le funzioni di sorveglianza a tutela del risparmio, ovvero Banca d’Italia, Consob e in ultima analisi lo Stato. Il terreno in cui ci si muove è però molto complesso per la natura molto articolata di una giurisprudenza che, come nel caso del Bail-in, non ha precedenti nel nostro paese. Più percorribile sembrerebbe essere la rivalsa personale sul piano della responsabilità civile da parte del singolo risparmiatore che deve dimostrare l’inadeguatezza dell’operazione sottoscritta rispetto al proprio profilo di rischio.
In Abruzzo sarebbero 1500 gli azionisti e gli obbligazionisti traditi da Banca Etruria, almeno 500 ne conta la CariChieti, e sono circa una quindicina le filiali di Banca delle Marche nella nostra regione per un numero ancora imprecisato di clienti danneggiati. E’ probabile che nella nostra regione, l’ammontare dei risparmi andati in fumo, si aggiri attorno ai 150/160 milioni di euro, su un totale, per tutte e quattro le banche, di circa 1/1,2 miliardi di euro.
Le perdite accumulate da queste banche, depurate del valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate che sono state azzerate, si aggirano attorno agli 8,5/9 miliardi di euro che sono stati svalutati a 1,5 miliardi e conferiti nella cosi detta bad bank, posta in liquidazione coatta amministrativa. La bad bank avrà il compito di vendere sul mercato i crediti deteriorati alle migliori condizioni possibili. I depositi e le obbligazioni ordinarie, vengono invece conferiti alle good bank che continueranno a garantire l’operatività di sportello, ma vivranno giusto il tempo necessario per essere vendute sul mercato.
Il cosi detto Fondo di Risoluzione è lo strumento che sarà utilizzato per gestire il salvataggio. Questo sarà dotato di circa 4 miliardi anticipati da Banca Intesa, Unicredit e Ubi banca. La somma sarà ripartita in 1,7 mld che serviranno coprire le perdite delle banche andate in default. Altri 1,8 occorreranno per la ricapitalizzazione delle good bank e 140 milioni saranno nella disponibilità della bad bank per consentirle di operare. A ciò si sommano ulteriori garanzie per circa 400 milioni che portano il totale a 4 miliardi.
Questa operazione ha di fatto evitato che si arrivasse al nuovo anno con conseguenze catastrofiche per l’intero sistema perché l’entrata in vigore del bail-in avrebbe tirato in ballo somme tre volte superiori a quelle conferite nel Fondo di Risoluzione. Sarebbe stato uno tsunami di 12 miliardi di euro che avrebbe compromesso l’intero sistema finanziario del paese.
Si è deciso così di sacrificare alcuni risparmiatori per salvare tutti gli altri. Una logica che può non piacere ma si è scelto il male minore. In tal senso chi è stato sacrificato ha pagato un prezzo molto alto, dipeso dall’aver concentrato i propri risparmi, forse in maniera inconsapevole, su strumenti finanziari ad alto rischio, probabilmente su consiglio di operatori che godevano della massima fiducia.
Questa vicenda dice che non esistono investimenti che vanno bene per tutti, che non esistono ottimi rendimenti a rischio zero, che non è possibile investire senza avere la consapevolezza di dove si mettono i propri soldi e che non tutti gli interlocutori hanno lo stesso livello di solidità patrimoniale. Diversificare il rischio, attraverso l’utilizzo di strumenti appropriati e adeguati al profilo dell’investitore, in un contesto di pianificazione finanziaria del patrimonio, resta l’unica strada per tutelare i risparmi e assicurare serenità al risparmiatore”.