di Marco Nucci. “Chiunque uccida un uomo sarà come se avesse ucciso l’umanità intera. E chi ne abbia salvato solo uno sarà come se avesse salvato tutta l’umanità”, così recita il Corano e su questa filosofia di vita, una famiglia musulmana di origine tunisina e residente a Nizza, ha accolto e dato ristoro nella propria casa a 8 ragazzi Italiani presenti durante la strage del 14 luglio. Gli 8 studenti in gita nella riverente cittadina francese hanno vissuto una pagina di speranza in un capitolo di orrore.
In totale 75 studenti arrivati nella città francese da una settimana per la summer school organizzata con l’ateneo di Nizza,, di cui un copioso gruppo del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino che giovedì sera si trovava sulla Promenade des Anglais.
«Per una serie di circostanze abbiamo fatto tardi e abbiamo deciso di cenare nelle vie interne e non sulla Promenade, per risparmiare tempo e andare quindi a seguire i fuochi», racconta Carlotta Benna, 21 anni, uscita insieme a dieci compagni di corso. «Nonostante questo siamo arrivati quando ormai lo spettacolo era finito. Abbiamo però sentito dei colpi, qualcuno di noi ha pensato fossero dei tuoni, altri che avessero ripreso i fuochi». Non potevano immaginare il dramma che si stava consumando a pochi passi da loro. «Alcuni nostri amici erano più avanti, hanno vissuto tutta la scena. Il camion li ha sfiorati, un gruppo si è riparato dietro a una pensilina». L’attentatore non ha voluto investirli solo perché temeva che la struttura fermasse la sua corsa della morte. Durante il “fuggi fuggi” generale gli 8 otto ragazzi si sono diretti nei palazzi circostanti per cercare rifugio tra i residenti. «Arrivati a un’intersezione abbiamo notato delle persone entrare in un palazzo con una vetrata che faceva angolo. Le abbiamo seguite. Ci siamo messi a bussare e piangere. Continuavamo a pregarle di aprire finché non l’hanno fatto. Erano italiani e sentire la nostra lingua madre è stato per noi un sollievo. Abbiamo chiesto riparo nel loro appartamento ma non hanno esitato a rifiutarci. Per loro eravamo in troppi e c’era poco spazio». Dalle scale è comparso invece un giovane, dai tratti arabi. Un tunisino che abita al terzo piano del condominio. Si chiama Hamza Bayrem, imbianchino di 29 anni, con una moglie incinta e un figlio nato due anni fa. «Ho sentito le urla, mi sono affacciato dal balcone e ho visto migliaia di persone correre. – racconta lo stesso Hamza a L’Espresso – Sono sceso a controllare cosa stesse succedendo. I primi che ho incontrato sono stati gli studenti italiani. Non potete immaginare in quale stato erano. Ho visto il terrore sulle loro facce. Quando ci ripenso mi fa male il cuore. Ho cercato di capire cosa mi stessero urlando ma loro parlavano solo in italiano. Mi hanno chiesto se capivo l’arabo e quindi mi hanno presentato un loro amico di origini marocchine». E’ Yassine Ramli, anche lui studente di Legge, che vive ad Asti. «Il ragazzo tunisino ci ha invitati a salire al terzo piano, dove avremmo trovato anche sua moglie. Le mie compagne di corso non si sono fidate. Temevano potesse essere una trappola, alla fine però si sono convinte».
Le uniche parole di Hamza nel commentare la strage di Nizza sono state: “Io e mia moglie siamo musulmani praticanti e ciò che è avvenuto non può in nessun modo rappresentare l’islam”
Al di là del colore della pelle, della fede, dell’appartenenza geografica, delle ideologie e dei fondamentalismi c’è la volontà di rimanere umani; volontà che si esalta nelle nei momenti di crisi, perché in alcuni momenti la crisi è un’opportunità di dimostrare che il mondo non è quel freddo angolo dell’universo in cui l’unica cosa che fa notizia è la guerra.