IL REGISTA CHE INVENTÒ IL TELEROMANZO E RISCRISSE LE REGOLE DEL MELODRAMMA
di Alina Di Mattia
Quando nacque la Televisione il tasso di alfabetizzazione tra gli italiani era decisamente basso. Il processo di scolarizzazione si muoveva molto lentamente, nonostante la riforma scolastica di Giovanni Gentile del 1923 che introdusse l’obbligo scolastico fino a 14 anni, e malgrado il libero accesso all’istruzione fosse previsto nell’art. 34 della nostra Costituzione.
La Rai, in quanto servizio pubblico, iniziò la programmazione selezionando i programmi con molta cura e seguendo una linea esclusivamente pedagogica con il compito gravoso di combattere l’analfabetismo della popolazione.
Nel 1960, con il sostegno del Ministero della Pubblica Istruzione, venne mandato in onda Non è mai troppo tardi, una trasmissione innovativa condotta dal maestro Alberto Manzi con l’obiettivo di insegnare a leggere e a scrivere agli italiani adulti. Fu la nascita di quello che oggi potrebbe essere definito un programma televisivo multimediale: una serie di lezioni e dimostrazioni pratiche per imparare la lingua italiana direttamente dal televisore di casa.
In questo particolare frangente storico si inserì Anton Giulio Majano, giovane regista proveniente da Chieti, uomo di gran cultura e larghe vedute, che seppe cogliere l’esigenza pedagogica della veterotelevisione (sillogismo con cui Umberto Eco definiva la vecchia televisione), per portare sul piccolo schermo le grandi opere classiche e teatrali utili a sostenere e promuovere il progresso sociale e morale della popolazione.
Il teleromanzo, illustre antenato dell’attuale fiction, era la trasposizione televisiva dei grandi romanzi letterari che il telespettatore non aveva mai letto fino ad allora, ma che finalmente poteva vedere ed ascoltare grazie anche alla mirabile recitazione di attori del calibro di Arnoldo Foà, Enrico Maria Salerno, Alberto Lupo, i quali, attraverso un linguaggio elegante e forbito, entrarono nelle case di ogni angolo del belpaese incantando milioni di telespettatori italiani.
Dati audience che oggi farebbero arrossire anche i più celebri e seguiti format televisivi: 15, 20, 25 milioni di telespettatori a puntata! Un successo senza precedenti.
Ed è proprio a questo straordinario regista abruzzese che la TV deve la nascita del feuilleton televisivo. Genio televisivo, padrone indiscusso del set e della macchina da presa, ammirato da Luchino Visconti, Majano vantava una significativa formazione culturale e professionale. Da ex ufficiale di cavalleria inoltre, possedeva uno spiccato senso dell’avventura che riversò interamente nei suoi lavori riscrivendo le regole del melodramma.
Puntata dopo puntata riusciva a fondere i sentimentalismi della letteratura ottocentesca con trame arzigogolate e complesse. Era in grado di confezionare scene spettacolari in stile hollywoodiano avvalendosi di attrezzature artigianali. La famosa battaglia ne La freccia nera (1968) fu combattuta soltanto con 18 cavalli!
Il suo nome resta indissolubilmente legato a trent’anni di grande televisione italiana e a titoli eccellenti come Piccole donne (1955), Jane Eyre (1957), Capitan Fracassa (1958), L’isola del tesoro (1959), Delitto e castigo (1963), David Copperfield (1965), La fiera della vanità (1967), E le stelle stanno a guardare (1971), Il signore di Ballantrae (1979), L’amante dell’Orsa Maggiore (1983).
Ha diretto tra i tanti Anna Maria Guerrieri, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Sophia Loren, Orso Maria Guerrini, Corrado Pani, Virna Lisi, Walter Chiari, Giancarlo Giannini, Mita Medici, nonché Loretta Goggi che ebbe il merito di scoprire.
I suoi teleromanzi a presa diretta, con inquadrature fisse e narrazioni diluite in un tempo che sembrava sospeso, avevano il potere di coinvolgere emotivamente milioni di spettatori rendendoli partecipi, in tempo reale, del dramma vissuto dal protagonista.
Con attori di alto spessore e con registi come Anton Giulio Majano, la Televisione italiana visse un’epoca irripetibile.
All’inventore del feuilleton televisivo è dedicato il libro Il regista dei due mondi, straordinaria rivisitazione storico-critica del giornalista Mario Gerosa, che racconta l’epopea del brillante autore teatino il cui nome resta indissolubilmente legato a trent’anni di grande Televisione italiana.
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