L’autore, 19 anni, ha scritto “Mio fratello rincorre i dinosauri” (Einaudi), libro ispirato da un video da lui pubblicato online nel 2015 che aveva come protagonista il fratello down Giovanni. La lettera, riportata da Repubblica.it, è uno stimolo a riflettere che forse il mondo non è poi divisibile in tante categorie e che ognuno di noi ha dei limiti da affrontare nella propria esistenza.
Questa estate c’è stato chi ha detto che in un albergo c’erano troppi disabili e per i suoi figli non era bello. Quest’estate c’è stato chi ha protestato perché nel ristorante i disabili del tavolo accanto davano fastidio. Quest’estate si è parlato dei disabili usando sempre questa parola e in un solo modo. Ma se penso a me e a mio fratello penso che io ho un solo modo. Io, ad esempio, ho sempre pensato che ci fosse un solo modo di concepire l’amore. E mio fratello tornava a casa dal cinema con una sua amica e diceva di essere sposato. Ho sempre pensato che ci fosse un solo modo di avere successo. E mio fratello esultava per giorni solo se faceva ridere un suo amico. Ho sempre pensato che ci fosse un solo modo per vincere. E mio fratello si fermava a raccogliere le margherite mentre giocavamo a calcio.
Ho sempre pensato che ci fosse un solo modo di concepire l’autonomia. E lui si definiva autonomo perché poteva stare un intero giorno senza telefono.
Ho sempre pensato di avere la verità in mano. Ho sempre pensato che fosse solo mio fratello quello disabile, quello non pronto per il mondo, quello di cui vergognarsi.
All’inizio lo avevo messo dentro una categoria: handicappato. Lo pensavo identico a tutti quelli che, come lui, avevano un cromosoma in più. Gio era tenero, lento e aveva bisogno di una mano, come tutte le persone con la sindrome di Down. Mi ricordo che proprio in quel periodo mio fratello aveva conosciuto un americano al campeggio e appena ero arrivato mi aveva parlato un po’ di lui e mi aveva fatto vedere un loro selfie sul telefono.
Io: — Ah ma è nero! Non avevo capito.
Gio: — No.
Io: — Sì, è nero.
Gio: — No, non è nero, è carnivoro. Come me!
Ecco, mio fratello, ad esempio, divide il mondo in carnivori ed erbivori, e basta. Io, di categorie, ne avevo troppe.
Ad un certo punto tutti i miei tabù sono caduti. Ho cominciato a guardarlo non più come Down, ma come Gio, Gio e basta. Gio non era tenero per condizione, a volte sì, lo è, ma quando gli regali qualcosa che non gli piace, te la tira in faccia che non riesci più a dire i “Down sono teneri”, perché dipende da persona a persona.
Gio non era lento, per niente, come fa ad essere lento uno che alla maratona della scuola si siede per tutta la gara e poi si alza all’ultimo giro e la vince!? Gio non era l’unico ad aver bisogno di una mano, ma ci sono anch’io che a Londra in tre mesi non mi sono lavato i vestiti perché ho dimenticato che si doveva mettere il detersivo. Insomma, anche io molte volte non ero pronto per il mondo. E per un cambio di prospettiva tutte le sue azioni che io prima consideravo stupide sono diventate divertenti, stimolanti, uniche. Quando si mette il casco della bici in macchina, mi metto a ridere. Quando si controlla se l’ombra è ancora lì, mi metto a pensare. Quando si nasconde dietro le porte di vetro, sto al gioco.
Non sono qui ad invocare rispetto per la diversità. Non sono qui a parlare per dirvi che è giusto e doveroso conoscere e apprezzare tutti. Sono qui per dirvi “Nella mia breve storia, essere entrato nel mondo di mio fratello mi ha riempito la vita”. Tutto qui. All’inizio del mio libro, che racconta la nostra storia, ho voluto mettere una famosa frase di Einstein: “Ognuno è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua abilità ad arrampicarsi su un albero, lui passerà tutta la vita a credersi uno stupido”.
Beh, sono qui per dirvi che la stessa frase potrebbe iniziare con “Ognuno è un disabile”, perché è proprio così, ognuno di noi, semplicemente,
ha qualcosa che non sa fare. Io, ad esempio, non so fare la lavatrice. E voi?