ORA, CI VORREBBE UN PADRE

ECCO IL POST DI ARMANDO FLORIS:

Ora, ci vorrebbe un padre.

Se hai avuto, come me, la fortuna di vivere l’infanzia con un fratello semi-coetaneo ricorderai certamente un momento rituale della giornata: quello dell’azzuffata pomeridiana. La pratica, tipica non solo della specie umana, è fondata su evidenti necessità evolutive e nel mio caso si è protratta fin quasi all’adolescenza.
Mio fratello era poco più piccolo di età ma stava, con il passare degli anni, diventando più grande fisicamente. Ed allora ho intuito che la specie era salva e potevamo passare ad altri giochi.
Forse ricorderai che esisteva un magico istante in cui la rissa doveva aver fine. Era l’ingresso in casa del padre.
Dicono che l’uomo sia mosso (innanzitutto) da due motivanti di base: piacere e dolore. In quel preciso istante si palesavano simbolicamente entrambe.
Ieri sera, sul tardi, guardavo la conferenza stampa di Conte.
Premetto che tifo per lui. Non perché mi sento politicamente vicino a quella parte politica ma perché gli tocca in sorte un compito grave: guida il popolo italiano (o quantomeno ci prova) nella fase più difficile degli ultimi decenni.
Per ora mi sembra un uomo “aperto al monologo”, una specie di Sgarbi educato.
Ho apprezzato il suo stile professorale nel confronto con Salvini in Parlamento però adesso ho la sensazione, di pancia, che qualcosa non torni.
E siccome, in questi giorni, la pancia è parecchio allenata mi fido di lei!
Il problema credo sia questo.
Non è solo questione di decreti sui quali, tra l’altro, ci sarebbe molto da dire.
In queste fasi la componente simbolica è fondamentale e non dipende da come ti fai il nodo alla cravatta o dal tono di voce.
Il simbolo è ciò che unisce e si costruisce dall’unione di contenuto e forma.
Ho come l’impressione che la figura del professore sia apprezzabile per certi versi ma che il Paese senta il bisogno di altro.
Avremmo bisogno di un padre perché i professori li abbiamo già provati ed erano quelli che, dalla cattedra e con studiata apatia comunicativa, ci spiegavano il teorema della carota e dell’ortolano con annessi grafici di derivazione sovranazionale.
Avremmo bisogno di un padre perché l’Italia è da anni dipinta come una Mammocrazia (Veneziani 2016), non per colpa della figura materna ma per assenza simbolica della responsabilità paterna.
Avremmo bisogno del valore, della forza, del linguaggio consapevole, perché non possiamo lasciare che tutta la crisi stia sulle spalle dei figli e delle figlie maggiori che lottano in corsia o dei fratelli Sindaci che corrono nei giardini a recuperare il cugino incosciente.
La parola padre richiama i concetti di protezione e nutrimento (Grammatico 2018), non ha nulla a che vedere, oggi, con una visione patriarcale della società.
Non ci serve il Papà che abbia la competenza in tutte le materie ma il padre che, difendendo la famiglia come comunità e singoli componenti, sappia se, quando e come rivolgersi allo specialista: che si assume la responsabilità della vita altrui e, se ha qualcosa di importante da dirti, non te la dice a mezzanotte!
So bene che nella categoria, ora da me idealizzata, convivono tante esperienze meno nobili ma penso sia adesso sufficiente la versione moderna del Papà, meno certa di possedere il giusto ma guidata dalla domanda “madre” che si pone un padre: “da cosa li devo proteggere, ora?”.
Ci vorrebbe un padre perché gli zii che ci portano la fredda contabilità dei morti non rassicurano e, nella tempesta emotiva, gli inviti alla calma inquietano di più.
Spero che il Premier deciderà presto di togliere i panni del professore e vestendo quelli del padre solleciterà intelligenza, creatività e senso di responsabilità di tutti.
E che, se ha qualcosa di importante da dire alla sua famiglia, la comunichi all’ora di cena.
Tanto, ora più che mai, siamo tutti a casa.

ARMANDO FLORIS

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