UNIVAQ – MAXI AFFITTI EX OPTIMES ”REATO C’E’ MA SENZA PROVE”

Il reato di abuso d’ufficio aggravato è “sussistente sotto il profilo oggettivo” nell’ambito del processo penale sui maxi affitti del capannone ex Optimes dell’Aquila, dove vennero ricollocate alcune facoltà universitarie dopo il terremoto 2009, con una acclarata “ingiustizia della condotta e del vantaggio patrimoniale”: tuttavia, non è stato possibile trovare in aula “prova certa della colpevolezza degli imputati” e, in particolare, il “dolo intenzionale, ovvero la rappresentazione e volizione dell’evento di danno altrui o di vantaggio patrimoniale”. Insomma responsabili, ma non condannabili.

È per questo motivo che lo scorso aprile il Tribunale dell’Aquila ha assolto con formula dubitativa “perché il fatto non costituisce reato” l’ex rettore dell’Aquila Ferdinando Di Orio, l’ex direttore amministrativo dello stesso ateneo, Filippo Del Vecchio, e, con formula piena, “per non aver commesso il fatto”, l’imprenditore aquilano Marcello Gallucci.

Il dato, singolare e destinato a sfuggire ai più, emerge dalle motivazioni depositate una decina di giorni dopo la sentenza assolutoria dal magistrato Maurizio Sacco, presidente estensore del Collegio giudicante, composto anche da Mario Cervellino Marfisa Luciani.

In sintesi, dal momento che, quando fu firmato il contratto, non era certa la proprietà dello stabile, conteso tra il privato Gallucci e il Consorzio industriale, secondo i giudici, pur avendo agito in modo errato, non è certo che i due imputati volessero favorire proprio l’imprenditore. Di qui l’assoluzione.

Allo stesso modo, per gli imputati, è stata fatta cadere l’altra accusa di truffa, per “le stesse circostanze – scrive il giudice – che hanno impedito di ritenere sussistente, con certezza, l’elemento soggettivo dell’abuso d’ufficio, ovvero l’incertezza in ordine all’effettiva titolarità dell’area locata, la particolare situazione d’urgenza in cui gli imputati si sono trovati ad agire, la mancanza di prova certa in ordine alla conoscenza tra tutti gli imputati e all’esistenza di un accordo collusivo tra essi”.

Il processo, sul quale comunque incombeva il rischio di prescrizione, ha acclarato l’illegittimità del contratto d’affitto per una serie di ragioni.

In primis, scrive sempre il giudice, “avrebbe richiesto l’espletamento di una procedura di evidenza pubblica”, perché non trattandosi di un “mero contratto di locazione”, ma di una “detenzione strettamente collegata a una serie di servizi e forniture, l’adeguamento di un capannone industriale al fine di ospitare una facoltà”, viene accertata la “conseguente natura mista del contratto stesso e applicazione del Codice degli Appalti”.

Inoltre, “all’ingiustizia della condotta corrisponde altresì l’ingiustizia del vantaggio patrimoniale ottenuto dalla società locatrice e costituito dal canone corrisposto all’Università”: vantaggio ottenuto “non iure, per effetto di un atto illegittimo” ma anche “contra ius, in quanto la società ha ottenuto le attribuzioni patrimoniali indicate non essendone legittimata”, non avendo vinto un appalto peraltro mai bandito.

Di qui l’affermazione della sussistenza del reato, “attribuibile, dal punto di vista della condotta materialmente posta in essere, al rettore Di Orio, il quale ha sottoscritto il contratto di locazione in esame, e al direttore amministrativo Del Vecchio, il quale ha curato la trattativa”.

Ma l’istruttoria, continua il giudice Sacco, ha portato alla luce “circostanze che, di fatto, contraddicono la tesi della configurabilità dell’elemento soggettivo, rendendolo, di fatto, poco plausibile”.

Oltre alla già citata “disputa legale in ordine all’effettiva titolarità dell’area”, che, per il Collegio, “rende dubbia la configurabilità dell’intenzione” degli imputati di avvantaggiare Gallucci, ci sono altri elementi di dubbio: su tutti, “l’esigenza di attuare, in tempi brevi, un rilevante interesse di carattere pubblico, ovvero reperire una struttura idonea a consentire la ripresa delle lezioni nel successivo mese di ottobre”.

E ancora, non è emersa prova “del fatto che gli imputati Di Orio e Del Vecchio conoscessero il Gallucci, ovvero il soggetto privato che avrebbero voluto avvantaggiare, in epoca precedente alla stipulazione del contratto”.

Inoltre, per il giudice i due “si sono attivati a richiedere la restituzione delle somme versate in eccedenza rispetto alla stima della società locatrice” e ancora di per sé “l’elevato canone di locazione concordato non può considerarsi prova assolutamente certa” della volontà di favorire il terzo imputato: un quadro che “non può che condurre a una pronuncia di assoluzione” per l’ex rettore e l’ex direttore.

Per Gallucci, oltre alla mancata conoscenza degli altri due, “non sono state accertate eventuali movimentazioni economiche tra le parti” e “neppure emergono pressioni o indebite ingerenze”: insomma, “non vi è prova sufficiente”.

Quanto alla truffa, il fatto che Di Orio e Del Vecchio abbiano “taciuto al Consiglio d’amministrazione le ragioni tecnico-giuridiche che avrebbero determinato l’illegittimità del contratto di locazione” per i magistrati “può essere, di per sé, considerato quale artificio o raggiro rilevante ai fini dell’integrazione della fattispecie incriminatrice”.

Ma anche in questo caso, “non vi è prova certa dell’elemento soggettivo” che “in ordine all’inganno, al profitto e al danno”.

Non è possibile sostenere che, con il loro silenzio, Di Orio e Del Vecchio “abbiano inteso realizzare l’induzione in errore del Cda e il profitto per il privato”, pertanto “vanno assolti”, così come Gallucci.

La vicenda resta ancora aperta a livello di magistratura contabile, con la procura della Corte dei conti che chiede 538 mila a Di Orio e a Del Vecchio per i costi sostenuti per l’affitto.

Nel corso degli anni ci sono state polemiche per la mancata presentazione dell’Università come parte civile, condizione che è stata negata a inizio processo anche a un’associazione legata a professori universitari.

Tra le altre contestazioni agli imputati, ora cadute con l’assoluzione, il fatto che l’Ateneo si sia impegnato a versare alla Gallucci un sovrapprezzo di 699 mila euro l’anno per 4 anni, che fanno oltre 2,5 milioni di euro, per rimborsare il suo intervento di adeguamento della struttura per renderlo funzionale a ospitare le facoltà universitarie, senza regolare bando di gara necessario per quegli importi.

E tutto questo corrispondendo anche, a titolo di cauzione, la somma di 1 milione di euro, superiore alla quota massima di 310 mila euro, pari a 3 mensilità, e procurando dunque alla Gallucci un ingiusto vantaggio patrimoniale e all’Università un danno di oltre 5 milioni di euro.

Di Orio era assistito dagli avvocati Antonio Milo Giovanni Marcangeli, Gallucci da Enzo Lucantonio Mauro Catenacci, Del Vecchio da Stefano Rossi.     

 

( Cicchetti Ivan )

 

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