Carissimi lettori e carissime lettrici, condivido, con grande piacere, la mia favola intitolata “La gallina che covava una saggezza sopraffina”, selezionata nell’ambito del Concorso Letterario Nazionale “Favole e Fiabe 2022”. Riporto, di seguito, il testo, accompagnato da un mio disegno.
È più facile spezzare una catena che un pregiudizio. Pensavo. Eppure, teoricamente, non avrei dovuto possedere questa capacità di ragionamento, essendo soltanto una povera gallina presa da Alfredo, un signorotto benestante di mezza età, che credeva fossi una creatura sprovvista di un cervello funzionante ed inutile persino per preparare un buon brodo. Razzolavo perciò, affranta, nell’ampio cortile del suo villino di campagna, in cui era andato a vivere da poco e che era divenuto ben presto la mia dimora. Il signor Alfredo, altezzoso nell’animo e totalmente disinteressato al mondo contadino, si alzava tardi e, dopo un’abbondante colazione, rimirava tronfio, in una sorta di rito abituale, le somme ingenti di denaro che traboccavano dal suo portafogli, costatogli un occhio della testa. Solo in seguito faceva una capatina fugace da me, dandomi un contentino e trattandomi al pari di un pezzo di arredo, in grado di conferire quel tocco ruspante necessario a rendere più accogliente l’ambiente. In effetti, cosa si sarebbe detto se fosse mancata una gallina tra tutti gli animali che aveva acquistato e che lusingava con attenzioni continue, poiché ritenuti più intelligenti e pregiati? D’altronde, io ero solo una banale gallinella, che si accontentava del terriccio anziché del comodo sofà, come il caro e viziato gatto Minosse, dai magnetici occhi smeraldo e dal sontuoso pelo grigio.
“Fiorella!”- mi chiamava, scimmiottando i miei versi – “Ora vengo a salutarti, ma presto ti lascio per andare in città, dove voglio spendere tanti quattrini e abbuffarmi di ottimo cibo gourmet!”. Alfredo non lavorava e campava di rendita, avendo ereditato un cospicuo patrimonio dai suoi genitori, una coppia di noti e scaltri affaristi, soprannominati nel settore come i “Re Mida” per la loro spiccata propensione a guadagnare cifre astronomiche, speculando spesso anche sulla pelle del prossimo. Si trattava di persone di dubbia onestà e dai loschi intenti, ma ad Alfredo tutto questo non tangeva e, forte della sua convinzione di essere l’uomo più arguto sulla faccia del pianeta, non si poneva il minimo dubbio sulla loro buona fede. Molti conoscenti, inoltre, gli avevano consigliato di investire i suoi averi in progetti importanti ed ambiziosi, ma lui se ne infischiava beatamente e conduceva un’esistenza da cicala, sperperando i suoi soldi in lungo e in largo e facendo baldoria dalla mattina alla sera, organizzando nella sua villa feste sfarzose, innaffiate da fiumi di Champagne e prelibatezze luculliane. La gente andava e veniva e, quando mi notava scorrazzare vicino all’uscio del portone, mi derideva davanti a tutti, intimandomi con tono denigratorio e borioso: “Fiorella! Vai subito nella gabbia che è il posto che più ti si addice!”. Si susseguivano giornate intere così finché, un dì uggioso di novembre, Mario il postino, dopo aver suonato insistentemente al campanello e non avendo ricevuto risposta perché Alfredo non si era ancora degnato di svegliarsi, lasciò una lettera all’interno della cassetta di legno. Quando Alfredo si destò e la vide, squarciò con impeto la busta e con immenso stupore lesse il suo inaspettato contenuto. Scoprì che, di lì a breve, sarebbe stato privato di tutti i suoi averi poiché ritenuti illegali, essendo frutto di molteplici furti e furberie messi in atto dai suoi genitori.
Con le mani tra i capelli, disperato, realizzò di essere rimasto con un pugno di mosche. Non aveva studiato, non aveva imparato un mestiere, non si era mai ingegnato in nulla ed aveva seminato attorno a sé soltanto antipatia e disprezzo, per il suo carattere presuntuoso e arido. Anche le persone che frequentava si relazionavano con lui soltanto per il conto in banca e non per vera amicizia. Persino il gatto Minosse se l’era dato a gambe, appena aveva capito che non avrebbe più potuto gustare le squisitezze con cui lo rifocillava. Solo io gli ero rimasta fedele e non l’avevo mai giudicato, percependo in lui un enorme vuoto causato dall’anaffettività e dall’ipocrisia dei suoi cari, che non gli avevano inculcato alcun valore e lo avevano reso un essere inumano. Quando venne da me e mi rivelò la tragica notizia, sbottò in lacrime: “Ti ho sempre maltrattata, Fiorella, ti ho definita stupida e insulsa, ti ho presa in giro, credevo fossi l’ultima ruota del carro, ma tu sei l’unica che non mi ha abbandonato e le uova che produci mi stanno dando da mangiare, nel frattempo che mi reinvento la vita.
La tua umanità è impareggiabile, hai letto la mia devastante solitudine che mi spingeva ad accumulare beni materiali per colmare la mia anima affamata di emozioni, che ho sempre repulso e rifiutato, considerandole una perdita di tempo, forse perché non credevo di esserne degno. Grazie a te ho rivalutato la tua figura di gallina: pensavo covassi idiozie e invece covi una saggezza sopraffina”.
( Dott.ssa Alessandra Della Quercia )