Nel 1981 fu descritta in modo definito la “nuova” sindrome da immunodeficienza in giovani adulti, all’epoca nella quasi totalità omosessuali o tossicodipendenti, che si andava diffondendo nel Nord America ed in Europa. Le morti dall’oscura sindrome divenivano in quell’anno ogni giorno più numerose negli Stati Uniti, tanto da muovere un enorme interesse di ricerca su una questione che sembrava mettere seriamente a repentaglio la salute delle giovani generazioni americane. Dopo soli 2 anni giungeva la prima importante scoperta: quella del virus che causa la Sindrome da immunodeficienza acquista, che in inglese si abbrevia AIDS (Acquired Immunodeficiency Syndrome). Il virus lento scoperto fu battezzato HIV (Human Immunodeficiency Virus). L’HIV causa prioritariamente una progressiva riduzione del numero e della qualità dei linfociti del tipo “CD4”, che sono essenziali per una buona regolazione ed un corretto funzionamento del nostro sistema immune, cioè di quel complesso di meccanismi che in modo meraviglioso ci difende dai microorganismi residenti nel nostro corpo o provenienti da mondo esterno. Quando a seguito dell’azione distruttrice dell’HIV i linfociti CD4 sono francamente insufficienti a svolgere le loro funzioni di difesa e coordinamento, l’infetto diviene incapace di difendersi dalla continua aggressione batterica, virale e protozoaria da tutti i fronti e finisce per sviluppare una serie di infezioni che progressivamente crescono in numero ed intensità, fino a causarne la morte. Le malattie opportunistiche più frequenti nella sindrome da immunodeficienza acquisita nel nostro ambiente europeo sono la pneumocistosi polmonare, l’encefalite da toxoplasma, la leishmaniosi viscerale, le parassitosi intestinali che causano severa perdita di peso, la malattia disseminata da citomegalovirus e la tubercolosi atipica extrapolmonare.
In generale, tra l’ingresso del virus HIV nel nuovo infetto e l’inizio della fase delle infezioni opportunistiche passano almeno 10 anni ma più spesso 15 anni ed oltre di vita pressoché normale, durante la quale l’infetto mantiene una normale attività e generalmente diffonde ad altri il virus HIV o tramite il suo sangue (scambio di siringhe) o per via sessuale, essendo i rapporti omosessuali molto più rischiosi di quelli eterosessuali, che sono comunque a rilevante rischio a loro volta. In realtà, già nei primi mesi dall’infezione, l’HIV determina una maggiore tendenza a sviluppare eventi cardiovascolari precoci, perché il virus attiva le cellule che pavimentano tutti i vasi sanguigni del nostro organismo, specie quelli di piccolo calibro, aumentando il rischio di eventi da occlusione vascolare. In generale, è stato stimato che l’infezione da HIV dopo 10 anni circa causa un invecchiamento dei vasi di quasi 10 anni in più negli infetti rispetto ai non infetti. Questa infiammazione dei vasi sanguigni si traduce talora anche in una precoce riduzione della funzione renale e cerebrale rispetto alla popolazione generale. Un altro effetto precoce della infezione da HIV è rappresentato da una maggiore gravità di importanti e frequenti co-infezioni, come quelle da virus epatite C, virus epatite B e tubercolosi.
Un grosso problema della diagnosi di infezione da HIV nei primi anni dopo la scoperta del virus era rappresentato dal fatto che alla diagnosi non potessero far seguito cure efficaci. In altri termini, scoprire di avere l’infezione non poteva aiutare a prevenire la fase di immunodeficienza finale, e quindi contribuiva solo ad “avvelenare” gli ultimi anni di vita “normale” degli infetti. Inoltre, poiché la maggioranza di infetti era rappresentata da omosessuali e tossicodipendenti, la diagnosi di infezione da HIV sembrò dovesse rappresentare un problema o una priorità eventualmente circoscritta a tali ambiti. Gli anni sono passati però, ed il contesto attuale è divenuto assolutamente diverso. Nel contesto attuale la più frequente modalità di trasmissione dell’HIV nel mondo è il contatto sessuale frequente e promiscuo, cioè con tanti e diversi partner, e gli eterosessuali con tali comportamenti sono egualmente a rischio degli omosessuali, specie se coesistano altre infezioni sessuali facilitanti, come Herpes genitale, Clamidia o Sifilide. Più rischiosi sono i rapporti sessuali che coinvolgano aree non protette naturalmente da mucosa adeguata, come il canale anale, o che siano compiuti con ritualità o dinamiche violente o impersonali. Ogni rapporto che interessi la regione anale ha un rischio di trasmissione circa 100 volte più alto di un rapporto vaginale, che come tale è naturalmente protetto. Sono inoltre circa tre volte meno rischiosi i rapporti sessuali quando il partner maschile è circonciso. La micro-trasfusione di sangue tramite scambio di siringhe contaminate rimane invece una modalità di trasmissione molto importante in Russia e nell’Est Europa, mentre in Occidente l’efficienza dei servizi per le dipendenze ne ha molto ridotto la rilevanza.
L’infezione da HIV per via di trasfusioni di sangue od emoderivati, infine, non è più stata riportata nel mondo occidentale da oltre 15 anni, perché le fonti a rischio vengono individuate con pressoché assoluta certezza dagli attuali metodi di controllo del sangue da trasfondere. In contesto mutato, si capisce come il rischio di essere infetti dipenda essenzialmente dai comportamenti sessuali promiscui di qualsiasi orientamento, e quindi riguarda tutta la popolazione generale, specie quella dell’età di mezzo. Inoltre, nel contesto attuale, ci sono farmaci efficaci per bloccare l’HIV e ridare all’infetto che scopra senza sintomi di immunodeficienza una piena aspettativa di vita normale.
La diagnosi della infezione da HIV in una persona che non ha ancora alcun sintomo rappresenta pertanto oggi una delle più importanti azioni di prevenzione in medicina. Nei paesi occidentali, la prevalenza dell’infezione da HIV è stata misurata tra lo 0.2 e lo 0.8%, il che significa che ogni milione di persone che vivono tranquille nell’età media, circa 3000 persone sono infette da HIV e non consapevoli del proprio stato d’infezione, contribuendo al 60% circa delle nuove trasmissioni di HIV ogni anno. L’individuazione precoce delle persone con infezione da HIV che non sanno di essere infette e senza alcun sintomo permette di avviare la terapia contro il virus prima della comparsa dei sintomi. La terapia in questa fase risulta molto semplice da assumere (1 o poche compresse al dì in 1 o 2 assunzioni quotidiane) e molto ben tollerata, tanto che la stragrande maggioranza di quelli che sono curati assumono effettivamente tutte le dosi prescritte senza importanti effetti collaterali.
Dalla costante assunzione della terapia conseguono due fatti estremamente importanti: innanzitutto quasi il 100% dei trattati non perde più cellule CD4, anzi comincia a recuperarle e non sviluppa più la fase di immunodeficienza acquisita; la vita delle persone trattate torna praticamente identica in termini di salute fisica e psichica rispetto a quella dei non infetti. In secondo luogo, poiché la replica del virus viene bloccata dai farmaci assunti nel sangue ed in tutti i tessuti, anche se in modo non completo e non definitivo, le persone che assumono con regolarità la terapia non trasmettono più l’infezione da HIV per via sessuale. Questa seconda conseguenza riduce fortemente la diffusione dell’epidemia.
Pertanto quando facciamo diagnosi precoce di un infetto da HIV senza sintomi abbiamo la pressoché totale certezza di aver prevenuto in lui la progressione dell’infezione verso l’AIDS, e la ragionevole certezza di avergli restituito un’attesa di vita normale rispetto ai non infetti. Inoltre, se tutti gli infetti residenti in una zona scoprissero precocemente la propria condizione, in quella zona non potrebbe più esserci trasmissione di HIV.
Ci sono molte modalità con cui una persona può essere studiata per sapere se è infetta o no dal virus HIV. Alcuni metodi usano la saliva, la cui raccolta non richiede di effettuare un prelievo di sangue. La modalità più sicura e completa è però rappresentata da un prelievo di sangue periferico di pochi millilitri (3-5 in genere), dal quale viene separata la quota senza cellule, cioè il siero; sul siero è ricercata la presenza degli anticorpi anti HIV. La specificità del metodo è superiore al 98% nella prima fase di screening; ciò vuol dire che solo un positivo su cento può essere falso. La sensibilità del metodo è invece praticamente perfetta già un mese dopo una esposizione a rischio. Ciò vuol dire che la possibilità che un siero risulti negativo se invece la persona è infetta è praticamente nulla. Tutti i sieri positivi per HIV nella fase di screening vengono confermati mediante un secondo metodo, cercando il DNA del virus. Dopo tale conferma la certezza dell’informazione è piena. Il test è quindi una procedura molto semplice e sicura, ma per tanti è inaccessibile per invisibili va fortissime barriere psicologiche. Domina infatti ancora il timore di esporsi facendo il test, cioè che il test possa far sapere ad altri che si è avuto un comportamento a rischio. Per questo, in tutto il mondo occidentale è stato notato che quanto più complessi sono i passaggi da compiere per poter giungere a fare il test, e tante più persone sono implicate nella procedura, tanto più facile risulta che le persone non si sottopongano al test.
La Regione Abruzzo ha sperimentato e reso sistematico un sistema innovativo di accesso al test proattivamente offerto, col concorso di amministratori, medici specialisti ospedalieri e territoriali, medici di medicina generale e da uno staff multidisciplinare di supporto. L’accesso al test è stato ed è sistematicamente proposto in ambiti “insoliti”, come quelli del lavoro e del sistema produttivo, le farmacie e le parafarmacie della rete farmaceutica regionale, ed altre simili infrastrutture. Elemento innovativo fondante è il ruolo della rete informatica nell’accesso. Il sito che è stato generato si chiama www.failtestanchetu.it Tramite l’accesso alla specifica sezione prenota il test presente nel sito, chiunque intenda effettuare il test ha potuto e potrà prenotarsi autonomamente, anche utilizzando anziché il proprio nome un nomignolo che tuteli l’anonimato nei confronti degli operatori che provvederanno ad eseguire il counselling ed il prelievo per il test. Inoltre, essendo il progetto regionale, con la partecipazione di tutti i centri della regione, ognuno può scegliere liberamente quello che tuteli al meglio la sua riservatezza. I campioni di sangue prelevati vengono processati settimanalmente a Pescara, ed includono anche il test per HBV, HCV e sifilide, molto spesso diagnosticati con ritardo nella popolazione della nostra area. Poiché infatti sul sangue prelevato per lo screening dell’HIV possono essere ricercati anche gli anticorpi per i virus dell’Epatite B e C e per la Sifilide con un piccolo costo aggiuntivo, la Regione Abruzzo ha autorizzato sperimentalmente anche tale azione, che verrà effettuata con metodiche parallele e sovrapponibili in termini di sicurezza, sensibilità e specificità.
Un’occasione da non perdere: in assenza di una diagnosi precoce, che permetta l’avvio della terapia antiretrovirale prima della destrutturazione del sistema immune, la diagnosi legata all’insorgenza delle infezioni opportunistiche presenta minori aspettative di vita sana.
Dott. Giustino Parruti