Avezzano. 13 gennaio 1915. Un giorno che nessuno potrà mai dimenticare. Il giorno del terremoto, quando con pochi secondi decine di migliaia di vite furono strappate alla vita terrena. Era un mercoledì di metà mese, era mattina e mancavano pochi minuti alle 8. Sulle montagne della Marsica c’era la neve e l’aria era gelida. La gente si apprestava a vivere un’altra giornata, e nessuno avrebbe mai potuto immaginare quello che sarebbe successo di lì a poco. Devastazione, dolore e perdita di tutto quello che era la città e la società che in essa si era evoluta nel corso dei secoli. 30000 morti. Anche se il numero preciso non si è mai saputo.
Come spesso accade davanti a tragedie del genere ci si sofferma sempre su aspetti generici, si tende a contestualizzare ogni cosa. Si dimentica che la tragedia, il disagio e la sofferenza di un’intera comunità, è formato da migliaia di singole storie. Storie, che dopo più di un secolo ancora suscitano sentimenti di carità e profonda empatia.
Tra queste, non possiamo non citare la storia di Don Orione, il sacerdote che divenne Santo.
Don Orione nei primissimi giorni dopo il terribile evento si precipitò nella Marsica e si distinse da subito per la sua tenacia nel donare conforto ai sopravvissuti, in particolare ai più piccoli. E furono proprio loro, i bambini, a beneficiare di tutto quell’affetto, di quell’amore che avevano perduto sotto le macerie. L’allora sacerdote, si prese cura di loro, cercò di salvaguardare le storie familiari, di censire e registrare i nomi e i documenti relativi alle famiglie degli orfani. Si preoccupò di cercare una sistemazione nei vari istituti religiosi della Capitale, di assicurare loro un’istruzione e soprattutto di non far perdere il legame con la terra d’origine che tanto fu sfortunata. Fu descritto come un personaggio quasi mitico, un angelo salvatore, una figura familiare che aiutava consolava affetti e sicurezze perdute.
Una testimonianza storica di quella che fu la sua opera di carità durante il dramma del terremoto, c’è stata raccontata da Secondino Tranquilli, colui che in seguito fu conosciuto in tutto il mondo come Ignazio Silone.
“Una di quelle mattine grigie e gelide, dopo una notte insonne, assistei ad una scena assai strana. Un piccolo prete sporco e malandato con la barba di una decina di giorni, si aggirava tra le macerie attorniato da una schiera di bambini e ragazzi rimasti senza famiglia. Invano il piccolo prete chiedeva se vi fosse un qualsiasi mezzo di trasporto per portare quei ragazzi a Roma. La ferrovia era stata interrotta dal terremoto, altri veicoli non vi erano per un viaggio così lungo. In quel mentre arrivarono e si fermarono cinque o sei automobili. Era il re, col suo seguito, che visitava i comuni devastati. Appena gli illustri personaggi scesero dalle loro macchine e si allontanarono, il piccolo prete, senza chiedere il permesso, cominciò a caricare sopra una di esse i bambini da lui raccolti. Ma, come era prevedibile, i carabinieri rimasti a custodire le macchine, vi si opposero; e poiché il prete insisteva, ne nacque una vivace colluttazione, al punto da richiamare l’attenzione dello stesso sovrano. Affatto intimidito, il prete si fece allora avanti, e col cappello in mano, chiese al re di lasciargli per un po’ di tempo la libera disposizione di una di quelle macchine*, in modo da poter trasportare gli orfani a Roma, o almeno alla stazione più prossima ancora in attività. Date le circostanze, il re non poteva non acconsentire. Assieme ad altri, anch’io osservai, con sorpresa e ammirazione, tutta la scena. Appena il piccolo prete col suo carico di ragazzi si fu allontanato, chiesi attorno a me: “Chi è quell’uomo straordinario? Una vecchia che gli aveva affidato il suo nipotino, mi rispose: “Un certo don Orione, un prete piuttosto strano”.
*L’auto “sequestrata” in modo così singolare fu poi donata dal Re a Don Orione, come testimonia un telegramma del Ministero degli Interni datato 23 gennaio 1915 che legalizza il passaggio di proprietà dell’autoveicolo.
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