IL RAZIONAMENTO NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

Durante la II° Guerra mondiale il pane scuro era molto più diffuso rispetto al pane bianco

Nel 1942, col razionamento della Seconda guerra mondiale, l’alimentazione di un italiano adulto prevede:

  • 200 g di pane al giorno.  Si comincia a razionare il pane nel maggio 1941. I panettieri possono aggiungere all’impasto il 20% di farina di patata, ma si utilizzano anche la crusca e il mais di seconda scelta. Il risultato è un pane scuro e spesso insipido, perché anche il sale è soggetto a razionamento. I panettieri vicini al mare sono autorizzati a utilizzare acqua salmastra per l’impasto.
  • 2 kg di pasta al mese.
  • 1,8 kg di riso al mese.
  • 800 g di patate ogni due settimane.
  • 80 g di carne bovina e 60 g di salumi a settimana.
  • uovo ogni 15 giorni.
  • 500 g di olio al mese, ma dato che spesso non c’era, la razione veniva sostituita con strutto o lardo.
  • 500 g di zucchero al mese.

Il vino, di cui prima della Seconda guerra mondiale all’interno dell’alimentazione si faceva largo uso, pur non essendo in tessera è difficile da reperire. Il pepe e le spezie sono introvabili, fattore che insieme alla scarsità di sale rende ancor più complicata la produzione di salumi e insaccati.

L’apporto calorico fornito da questo razionamento ammonta a circa 1.100 chilocalorie al giorno, uno fra i più bassi d’Europa. Questo sistema, peraltro, non garantisce la reperibilità dei prodotti. Anche per questo motivo, si diffonde il mercato nero. Produttori e commercianti talvolta preferiscono nascondere la merce per venderla illegalmente a un prezzo molto maggiore.

Niente può essere sprecato, pertanto il riuso era giornaliera. Nelle riviste destinate al pubblico femminile si elencano ricette per riciclare gli scarti, come le bucce e i torsoli di mela o i gambi delle verdure, ma non mancano le proposte più “estreme”, come fare la marmellata senza zucchero e la crema senza uova. Il caffè è bandito e introvabile, ma anche i surrogati provenienti dalle colonie, come ad esempio il karkadè, iniziano a scarseggiare sempre più. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 – avvenimento chiave per la Seconda guerra mondiale – l’alimentazione è sempre più carente di frutta, che essendo in gran parte prodotta al Sud Italia non può più raggiungere il Centro-Nord. Le produzioni agricole locali, invece, generalmente non vengono commercializzate, se non a prezzi molto alti. Nonostante la situazione di pericolo quotidiano, la popolazione esasperata dalla fame non esita a protestare, come accade a Parma e a Napoli. Nelle città, del resto, la situazione è ben più grave che nelle campagne. Il problema alimentare si acuisce nei territori amministrati dalla Repubblica di Salò, tanto che la promessa di ricche razioni di cibo diventa il tentativo della RSI per convincere i giovani ad arruolarsi nel nuovo Stato fascista.

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