Era il 4 maggio del 1980 quando la mafia uccise il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile. Il giovane ufficiale era in compagnia di sua moglie Silvana e di sua figlia Barbara di appena 4 anni. Stava rientrando in casa dopo aver assistito alla processione per la festa del Santissimo Crocifisso a Monreale, quando i sicari spuntarono all’improvviso esplodendo decine di colpi di pistola. Il capitano Basile fu trasportato d’urgenza all’ospedale ma morì durante l’operazione, gettando nello sconforto la famiglia e il suo amico Paolo Borsellino, con il quale aveva inferto duri colpi alle cosche mafiose.
Il capitano Basile, dopo l’accademia, fu destinato a comandare la Compagnia CC di Sestri Levante (GE), ma dopo poco tempo fu trasferito a Monreale (PA), dove ebbe modo di indagare sull’omicidio del capo della Squadra Mobile di Palermo, Boris Giuliano, ucciso dalla mafia nel luglio del 1979. Fu durante queste indagini, che scoprì i collegamenti tra le varie cosche mafiose coinvolte nel traffico internazionale degli stupefacenti. Inoltre, indagando sui legami tra i vari gruppi mafiosi, scoprì che a capo di tutte le cosche c’era Salvatore Riina. Tutte informazioni che trascrisse nel suo ultimo rapporto del 16 aprile 1980, e che consegnò al giudice Paolo Boresellino. Furono proprio queste indagini e gli arresti che ne scaturirono, che portarono la cupola mafiosa a organizzare il suo omicidio.
I killer che lo uccisero furono arrestati poco dopo, ma il percorso processuale che rese giustizia al giovane ufficiale, fu lungo e tortuoso. Per vedere condannati i mandanti e gli esecutori materiali, ci vollero ben sette processi. Finirono condannati come mandanti Totò Riina, Michele Greco e Francesco Madonia. Gli esecutori materiali dell’omicidio furono Armando Bonanno poi sparito con la lupara bianca, Vincenzo Puccio, ucciso brutalmente in carcere, e Giuseppe Madonia.
Negli anni, i riconoscimenti postumi conferiti al capitano Emanuele Basile, furono molteplici, ma forse il più importante fu proprio il primo, quando l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, gli conferì la medaglia d’oro al valore civile per essersi “distinto in precedenti e rischiose operazioni di servizio, che portavano alla individuazione ed all’arresto di numerosi e pericolosi aderenti ad organizzazioni mafiose operanti anche a livello internazionale. Proditoriamente fatto segno a colpi di arma da fuoco in un vile agguato tesogli da tre malfattori, immolava la sua giovane esistenza ai più nobili ideali di giustizia ed assoluta dedizione al dovere”.
Fonte: Antimafia Duemila